Un tempo gli alimenti freschi, e in special modo la frutta, erano praticamente inesistenti sulle navi: per questo, durante i lunghi viaggi attraverso l’Oceano, i marinai restavano vittime di una malattia “professionale”, lo scorbuto, dovuta alla carenza di vitamina C.

Quando si scoprì che bastavano poche gocce di succo di limone o di arancia nella dieta quotidiana, per cautelarsi, si era ormai nel Seicento: ma ci volle ancora più di un secolo perché fosse obbligatoria la distribuzione di succo di agrumi sulle navi. 
Le poche verdure che s’imbarcavano, invece, finivano presto, e quelle che non terminavano marcivano nelle stive a causa dell’altissima umidità. La carne salata poi, ammollata in acqua dolce, risultava quasi immangiabile, addirittura così coriacea da essere a volte utilizzata per farne tabacchiere e ninnoli; l’unica carne fresca, invero, era quella dei ratti, che venivano quindi pagati a caro prezzo. 
Per non parlare delle gallette, il cui nome deriva dall’antico francese “gal”, che significa ciottolo. Questo impasto di farina di frumento e acqua, cotto in forno e poi messo ad essiccare, diventava infatti duro come un sasso ed era quasi impossibile romperlo sia con le mani che con i denti. Sembra però che le gallette restassero commestibili per cinquant’anni… o forse anche di più: a giudicare da quelle rinvenute nel 1821 sull’isola di Candia (l’attuale Creta, un tempo posseduta dai veneziani e ceduta ai turchi nel 1699), vecchie di quasi due secoli ma in ottimo stato di conservazione. 
A dare un aiuto alle mandibole dei marinai, infatti, erano piccolissimi coleotteri, i curculioni, che tracciavano un sistema di gallerie all’interno della galletta rendendola, comunque, almeno frantumabile.

(fonte squisitalia)

Di Giuseppe Alfredo Ruggi

Insegnante di enogastronomia, digital teacher e non solo. Collabora con numerose scuole d'Italia, ha pubblicato numerosi articoli e due testi. Innamorato della scuola sa bene che insegnando si impara.

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